Arezzo, 11 giugno 2011 - Avete mai fatto caso a quanto sia più accogliente un portone aperto di uno chiuso? Chiedetelo ai postini se non ci credete. Non lo chiedete a chi confonde uno schiaffo con una carezza, una stretta di mano con un calcio negli stinchi. No, i portoni chiusi sono più acidi di un limone, più ispidi di un riccio.

Eppure il partito dei portoni chiusi rischia spesso di superare il quorum in città. Perfino a San Francesco. In fila ora come ora ce ne sono due, entrambi sprangati. Una è la vecchia sede del book-shop di Piero. Si è trasferito in via di San Francesco, 50 metri più sotto. In prospettiva garantirà anche un percorso decisamente più logico alla scoperta degli affreschi. Ma per ora ha chiuso un portone sul naso della piazza. Un portone che in qualche modo andrebbe riaperto. 

Un altro è quello della Basilica. E’ vero, per chi ha fede o anche per chi non ne ha c’è il portoncino laterale, entri lo stesso e fai meno fatica a spingerlo sui battenti. Ma quel portale perennememnte sprangato pesa sulla coscienza. Chi crede rivive con un pizzico di nostalgia la visita di Giovanni Paolo II, quando quel sagrato era diventato la finestra dell’Angelus, con il suo portone bello aperto. Gli amanti dell’arte perdono la prospettiva mozzafiato dell’ingresso nella basilica di Piero, il passaggio dalla luce all’ombra, la scoperta degli affreschi che vibra tra le ciglia. I turisti spesso si fermano al portone, il portoncino neanche lo vedono.

Controprova? Piazza Grande. Beh, lì non c’è un portone chiuso: c’è una fortezza inespugnabile. Quella del Palazzo di Fraternita. Prima che arrivasse Liletta Fornasari, fragile come uno scricciolo ma capace di prendere a 'spallate' l’uscio, faticavi a ricordare cosa ci fosse dietro. Ora che il casello ha riaperto le sbarre i turisti si accalcano per riscoprire le viscere del palazzo. E anche così non basta. No, ci vorrebbe dell’altro: apertura continuata, gli archi di un progetto un po’ in ritardo. Perché finora quel portone si è chiuso sulle dita della piazza e della città alta. Fino a stritolarle. E a farla urlare di dolore, neanche fosse Fantozzi. Lui in campeggio si dava le martellate sulle dita. Noi ce le diamo più comodamente restando a casa.