Arezzo, 7 giugno 2011 - In piazza una volta ci scendevano gli operai, non gli imprenditori. Vedere dunque una manifestazione in cui gli orafi, come stamani, marceranno fianco a fianco con i loro dipendenti dà forse un’idea di quanto continui ad essere contraddittoria la situazione del settore. I numeri si accavallano, i segnali di ripresa si alternano a quelli di crisi. E’ di appena un mese fa la stima dell’Irpet, secondo la quale c’era stato un aumento, sia pure modesto, dell’export del settore (2 per cento e spiccioli, al netto dell’aumento del prezzo del metallo) ed ecco altre cifre, stavolta della consulta provinciale degli orafi, secondo la quale, invece, la produzione in viaggio verso l’estero è stata appena dello 0,2.

Praticamente niente, anche se perlomeno stavolta non c’è un segno meno a macchiare la pagella del comparto.
Chi ha ragione? Tutti o magari nessuno, quando le statistiche sono così diverse l’una dall’altro. L’unica cosa certa è che l’oro continua a fare una fatica bestiale per resistere sul mercato e si sa che quando gli orafi starnutiscono, da queste parti è un’intera provincia che si soffia il naso. Perchè, decimale più decimale meno, la verità è che la tanto attesa ripresa, quella vera, ancora non si vede. Il settore stagna, così come stagna tutta l’economia nazionale. Per tornare a rivedere la luce, occorrerebbe da un lato che ripartisse il mercato interno, dall’altro che si stabilizzassero crisi politiche internazionali (vedi Libia e Magreb) e prezzo della materia prima, condizioni indispensabili perchè l’export riparta a un ritmo accettabile, non a colpi di zero virgola per cento.


Uno scenario del quale per ora non si vedono i fondamentali. Nord-Africa e Medio Oriente continuano a bruciare, col risultato che i mercati arabi non assorbono più di tanto, quanto all’economia nazionale, Tremonti continua a tenere le briglie tirate per evitare che in una situazione politica instabile si rischi un default tipo Grecia. Servirebbe un’iniezione di liquidità, e anche di investimenti, nel sistema, ma per adesso è pura utopia. L’effetto è che le imprese orafe marginali, quelle che hanno meno capacità di resistere alla concorrenza in queste condizioni assolutamente precarie, continuano a morire. Anche nel 2010 ne sono sparite una cinquantina: un repulisti drastico, una sorta di selezione darwiniana nella quale si salvano soltanto i più robusti. Potrebbe anche diventare un fattore positivo se e quando la ripresa non sarà più il Godot di Becket che non arriva mai. Di buono c’è anche che dai dati della consulta arriva la conferma di una realtà consolidata: è questo il primo polo orafo nazionale, più di Vicenza, più di Valenza. Non è solo orgoglio campanilistico: vuol dire che c’è un mondo, quello oggi in piazza, che soffre ma resiste. Offrigli uno spiraglio di speranza è l’imperativo di oggi. E anche di domani.