Arezzo, 18 aprile 2011 - Un altro tranquillo week-end di paura. Ma, come dice il proverbio, meglio aver paura che buscarne. Fuor di metafora, gli orafi continuano a vivere con l’ansia da furto, specie nel fine settimana che dei banditi era il momento preferito, eppure per la terza volta consecutiva si svegliano la domenica senza aver subito danni. Senza, anzi, che i soliti ignoti ci abbiano nemmeno provato. E’ finito l’assedio al primo distretto nazionale del gioiello? Troppo presto per gioire, anche se a questo punto si può dire che il dispositivo di sicurezza funziona. E pure che, proprio per questo, non verrà smantellato, nonostante qualche timore si fosse affacciato a metà settimana. No, invece, va tutto avanti come prima, col territorio diviso in una griglia di zone fortemente presidiato dalle forze dell’ordine e soprattutto dalla vigilanza privata, in primo luogo la Telecontrol che del settore è l’azienda leader.

 

Dire che appena venti giorni fa Arezzo era in piena psicosi. Con una media di un colpo (tentato o riuscito) per notte nella drammatica settimana a cavallo fra la fine di marzo e l’inizio di aprile. Poi, come scrisse «La Nazione», sono arrivati i «nostri». Con la cattura di una delle bande (probabilmente la più scalcinata) che imperversavano nelle notti del terrore e anche con l’inizio della sperimentazione nelle zone pilota che è stata progressivamente estesa a una decina di aree, praticamente tutte le più importanti, quelle con la maggior concentrazione di aziende orafe. Lì per lì, la notizia di maggiore impatto mediatico è stata la prima, quella dell’arresto di tre romeni (altri due i denunciati) che, se l’ipotesi investigativa corrisponde al vero, si erano messi in proprio dopo aver fatto da manovalanza per le bande che venivano da fuori. Era il 31 marzo e da allora dei malviventi non si è più sentito neppure l’odore. Anche perchè è andato a regime quel progetto di sicurezza che all’inizio aveva fatto, inevitabilmente, meno rumore delle manette, ma che strada facendo si è rivelato decisivo.

 

Notte dopo notte, quelli che parevano i buchi neri di un distretto orafo indifendibile nella sua estensione geografia e nella sua concentrazione produttiva (circa 1300 aziende) sono stati colmati con la pazienza e le risorse: almeno una pattuglia di vigilanza privata per ciascuna delle zone pilota, un dispositivo di polizia e carabinieri pronto a intervenire al minimo sentore d’allarme (sono stati schierati anche i poliziotti del reparto mobile di Firenze, la vecchia Celere), il questore Felice Ferlizzi e i vertici dei carabinieri spesso per strada a guidare di persona i loro uomini.

 

Ci sarebbero voluti dei pazzi per sfidare un sistema di protezione del genere (molto potenziati anche i sistemi d’allarme) e i banditi dell’oro tutto sono meno che pazzi. Da allora infatti tacciono, magari aspettando il momento buono, quello in cui l’apparato pubblico potrebbe abbassare la guardia. In settimana, qualche avvisaglia di problema c’è stata. Perchè dopo la prima fase di volontariato, in cui aveva mobilitato risorse sulla semplice promessa di essere pagata, la vigilanza privata aveva lanciato qualche segnale di insofferenza. Adesso pare tutto rientrato. Le associazioni di categoria hanno catechizzato i singoli imprenditori e ora le aziende stanno sottoscrivendo i contratti che permetteranno ai vigilantes di rientrare delle spese. La sperimentazione scade domani, ma le indiscrezioni che filtrano sono tutte improntate all’ottimismo: la macchina della sicurezza dovrebbe restare immutata, con le risorse di adesso.

 

Intanto, vanno avanti anche le indagini. Perchè se una banda è stata sgominata ce ne sono almeno altre due sostanzialmente intatte e una è quella di superprofessionisti che piazzò il blitz dell’8 marzo alla Salp di Poggio Bagnoli, il più spettacolare anche se non il più redditizio (3 milioni contro i 9 del raid alla Fior). L’emergenza continua, ma è un po’ meno emergenza.