Arezzo, 2 gennaio 2011 - RESTANO in piedi mille interrogativi sul cedimento dello scolmatore della diga di Montedoglio che ha riversato sul Tevere una grande onda di piena. Emerge che l’invaso non sarebbe al primo incidente, mentre si attendono i primi esiti dell’inchiesta disposta dal ministro delle infrastrutture Altero Matteoli e di quella giudiziaria aperta dalla Procura della Repubblica di Arezzo con l’ipotesi di reato di disastro colposo.
 

 

Dell’episodio, per il quale uno dei possibili imputati è la qualità del calcestruzzo utilizzato, torna a parlare il direttore dell’ente irriguo Umbria-Toscana, Diego Zurli. Non si sbilancia sulle cause, «ovviamente — dice — ci stiamo ragionando da tre giorni e qualche idea ce l’abbiamo. Ma la teniamo per noi, mi pare doveroso».
 

 

CONFERMA, Zurli, che il livello dell’acqua «era ai massimi di sempre, ma non si può parlare di un collaudo particolare perché si tratta di procedure adottate ogni giorno da vent’anni a questa parte». Il livello, peraltro, «non è stato portato al massimo teoricamente consentito, manca ancora mezzo metro per arrivare ai limiti per i quali la diga è stata costruita». Resta il fatto, innegabile, che l’incidente è avvenuto quando è stato raggiunto il livello massimo nella storia della diga, anche se Zurli resta convinto che non si possa tout court stabilire un rapporto causa effetto, essendo comunque di fronte a sollecitazioni non molto elevate.
 

Ricorda Zurli che su quelle quote, più basse solo di una ventina di centimetri, si era arrivati sia nel 2007 che nel 2008 e tutto era proceduto senza inconvenienti di sorta. Quanto alle proteste dei sindaci di non essere stati avvertiti, il direttore dell’ente è lapidario: «Ma di quale collaudo dovevamo avvertirli? Qui non c’è stato un test straordinario, particolare, irripetibile. Si è trattato solo di una delle prove che ogni giorni i nostri tecnici conducono. Capisco i sindaci, ma cosa facciamo: si lancia un avvertimento ogni ventiquattro ore»?
 

 

«Credo — conclude il direttore — che si sia trattato di un collasso i cui primi movimenti, dei quali nessuno si era accorto, risalivano a diverso tempo fa». Insomma, un deterioramento asintomatico che avrebbe portato al cedimento improvviso.


L’ente irriguo, sostiene il direttore, «è la parte lesa di quanto è accaduto e se le inchieste dovessero accertare responsabilità tali da sfociare in un procedimento giudiziario, allora ci costituiremmo parte civile».
ULTIMA ANNOTAZIONE, in positivo. «I collaudi continui — spiega Zurli — vengono effettuati proprio per testare la tenuta delle strutture. E pur nella problematicità dell’episodio, meglio che sia avvenuto in una condizione controllata che non, ad esempio, durante una piena del Tevere, magari dopo un collaudo andato in modo perfetto che ci avrebbe indotto ad alzare i livelli dello scolmatore, sicuri che l’operazione poteva essere condotta senza correre alcun rischio».
 

Intanto l’emergenza è rientrata mentre dall’invaso escono circa 40-50 metri cubi di acqua al secondo, contro i seicento che erompevano durante la drammatica notte di mercoledì. Nella normalità il corso del Tevere, rientrato ovunque negli argini. Tutti a casa, infine, gli sfollati che a centinaia avevano lasciato le frazioni minacciate, sia sul versante aretino che su quello umbro.
 

Insomma, tutto bene? Neanche per sogno. I dubbi e le inquietudini resteranno finché non sarà fatta chiarezza.