Arezzo, 3 novembre 2010 - Variantolpoli 2: la vendetta (dei condannati in primo grado) o la conferma (della sentenza che inguaiò una bella fetta della classe dirigente aretina di metà anni 2000)? Di nuovo una falsa partenza per il processo a causa di notifiche sbagliate, tutto è rimandato al 2 febbraio.


A spiegare quale sia l’importanza del processo che comincia bastano i nomi eccellenti degli imputati. Così, citando alla rinfusa, l’ex sindaco Luigi Lucherini, condannato dal tribunale per abuso d’ufficio insieme al figlio Marco e all’architetto Pier Paolo Nencioli, un suo fedelissimo come l’ex consigliere comunale Dino Badiali (pure lui, all’epoca di Forza Italia), ancora abuso d’ufficio, il deputato Pdl Roberto Tortoli, al centro delle cronache politiche anche in questi giorni, di cui i giudici ravvisarono le responsabilità per estorsione ai danni di Marino Mariottini, già direttore sportivo dell’Inter e proprietario dei terreni su cui fu costruita la multisala di via Setteponti. Il suo correo sarebbe stato il rampante imprenditore fiorentino Stefano Bertini.

E ancora l’allora presidente dell’Arezzo Piero Mancini, condannato per corruzione: avrebbe avuto a libro paga a Palazzo Cavallo il consigliere comunale Pietro Alberti, uno dei tre moschettieri del mattone, con Alessandro Cipolleschi e Andrea Banchetti, a loro volta stangati per concussione nel filone Cat (la commissione assetto del territorio).


Lo scandalo, anzi, partì proprio dall’arresto dei tre moschettieri, il 7 dicembre 2005, all’alba di un giorno destinato a cambiare la storia politica di Arezzo. Se infatti si partì dall’ipotesi (e dalle manette) del denaro e dei favori che sarebbero stati richiesti per l’approvazione delle varianti in Cat (di qui il nome Variantopoli), ben presto il caso dilagò a macchia d’olio, fino a lambire il sindaco Lucherini, accusato di aver votato in conflitto di interesse una quindicina di pratiche presentate dal figlio, l’architetto Marco, con lo schermo del collega Nencioli. C’erano dentro grosse varianti come il prosciuttificio, l’area Lebole e la stessa multisala. Il primo cittadino che aveva riportato al potere il centrodestra nel 1999 tentò di resistere, ma fu affondato da un consigliere della sua stessa maggioranza, Alessandro Fatai, anche lui indagato nel filone Cat, che si dimise provocando le elezioni politiche del ribaltone, col centrosinistra di Fanfani di nuovo in sella.
Intanto, l’inchiesta del Pm Roberto Rossi (nella foto), il grande accusatore delle indagini preliminari e del processo di primo grado, avevano già raggiunto Tortoli, Bertini e Mancini.

Il resto è noto, a cominciare dalla drammatica udienza del 29 giugno 2008 in cui furono condannati tutti o quasi. Unica eccezione l’ex assessore all’urbanistica Francesco Chianini. Di là si riparte, con gli imputati che reclamano la restituzione dell’onore e la procura che punta alla conferma della sentenza del tribunale. Stavolta non c’è Luciana Cicerchia, designata nel primo collegio d’appello ma incompatibile perchè non solo aveva fatto parte del tribunale presieduto da Mauro Bilancetti che emise la sentenza di primo grado ma ne aveva anche steso le motivazioni.

Quadro tragicomico della città ai tempi di Variantopoli. Era davvero quella la realtà di Arezzo alla metà degli anni 2000? La parola alla corte d’appello.