Arezzo, 11 ottobre 2010 - Era cominciata con i carabinieri a Casa Vasari e l’ultima puntata vede ancora i militari che cercano di dirimere l’ennesima diatriba dentro lo splendido palazzo di via XX Settembre, pieno centro storico di Arezzo, che il grande Giorgio aveva progettato e costruito nella sua città natale. In mezzo una telenovela infinita e complicatissima sul bene più prezioso fra i tanti capolavori conservati a Casa Vasari, dal 1911 museo statale. Ossia l’archivio che contiene la corrispondenza fra l’artista e i grandi del Rinascimento: sonetti e lettere di Michelangelo, autografi di Papi e Granduchi, persino un autoritratto del Vasari di cui non si sa bene che fine abbia fatto. Gli eredi Festari, legittimi proprietari per decisione della corte d’appello di Firenze, lo hanno venduto da un anno ai russi della holding moscovita «Ross engineering», per la cifra record di 150 milioni di euro, mai vista per un bene culturale, sia pure di questo valore.

 

Ma lo Stato non ha ancora riconosciuto la validità del contratto e c’è anzi la procura di Roma che indaga per truffa aggravata ai danni dello Stato: non sarebbe quella la cifra realmente pattuita, si tratterebbe solo di un tentativo per estorcere alla repubblica italiana una somma senza precedenti nell’eventuale esercizio del diritto di prelazione. Bene, dopo un anno di batti e ribatti fra tribunali penali e civili, procure e Tar di mezza Italia, pareva quasi giunto il tempo della pace, con gli eredi che silurano i loro emissari del tempo di guerra e si affidano ad altri decisi a seguire più miti consigli. Ora però un banale incidente rischia di trasformarsi in un casus belli. Il pretesto è di per sè una stupidaggine: una visita della Società Storica Aretina a Casa Vasari con permesso della sovrintendenza archivistica a vedere alcuni dei pregiati documenti chiusi in un armadio di ferro. Fermi tutti, intimano in settimana i Festari: ci vuole anche la nostra autorizzazione di proprietari, a norma del codice sui beni culturali.

 

Nessuno se ne dà per inteso e sabato gli eredi, per impedire quello che loro considerano un abuso, chiamano i carabinieri, come aveva fatto il loro padre, il conte Giovanni, quando nel 2008 aveva cercato di aver accesso all’archivio, con i funzionari della sovrintendenza che lo avevano messo alla porta, come un estraneo. Finisce con un esposto-querela che non indica responsabili e già ieri sono tornate a volare le colombe, con l’avvocato Guido Cosulich, il legale di famiglia, che invoca un «tavolo di trattativa con lo Stato» e i quattro eredi che chiedono scusa alla delegazione della Società Storica per l’incidente. Ma è l’ennesimo segnale del clima rovente che caratterizza la questione archivio. Di dispetti, da una parte e dall’altra ce ne sono stati tanti. Sarà una coincidenza, ma nel novembre 2009 non appena gli emissari della famiglia volano a Mosca per confermare l’accordo di luglio e poi di settembre, arriva subito un pignoramento di Equitalia.

 

La stessa Equitalia mette all’asta l’archivio in marzo, nei giorni in cui sta per decadere il diritto di prelazione dello Stato e in aprile l’indagine della procura di Roma fa da contraltare alla dichiarazione di Vassily Stepanov, il gran capo di «Ross» in visita nella capitale, sulla scelta di ricorrere contro il vincolo che lega indissolubilmente le carte alla loro sede di Casa Vasari: «Le esporremo anche nei grandi musei e anche nei supermercati russi», annuncia con fare gelido. Dal canto loro, la struttura del ministero guidato da Sandro Bondi e la sovrintendente archivistica per la Toscana, Diana Toccafondi non hanno mai nascosto il loro scetticismo sulla reale consistenza dell’affare.

 

Un muro contro muro, insomma, che genera una situazione di stallo. Per romperlo, in giugno i Festari lanciano la loro offensiva di pace, con una bozza di accordo che viene inviata a ministero, Toccafondi e Comune di Arezzo. Si propone il riconoscimento del vincolo e persino un finanziamento straordinario della famiglia (un paio di milioni) alle mostre dell’anno vasariano (nel 2011 ricorre il cinquecentenario della nascita) in cambio del via libera al contratto con i russi: 150 milioni contro due si può fare, no? Per avvalorare la loro proposta, gli eredi chiedono un passo indietro alle loro punte di lancia, ovvero Enrico De Martino, il procuratore che ha firmato i contratti e che nel frattempo è finito indagato per una presunta firma fasulla del conte Giovanni («Ma non è vero, è davvero di nostro padre», dicono i fratelli) e l’avvocato Alberto Marchetti. Sul campo resta solo la colomba Cosulich, che tenta ancora di attenuare la portata dell’incidente di sabato. Ma per ora dal fronte opposto non arrivano segnali. Tace il ministero, tace Diana Toccafondi. Intanto l’anno vasariano incombe, le mostre anche. Il 2011 è dietro l’angolo. Il pubblico riuscirà finalmente a vedere l’archivio mai esposto?