Arezzo 7 luglio 2010 - Ha resistito molto più del Muro di Berlino, più di tutte le cortine di ferro della guerra "calda" e di quella fredda. Ma adesso anche il muro della "memoria divisa" di Civitella si sta lentamente sgretolando. La strage tedesca che il 29 giugno 1944 insanguinò questo borgo di collina a due passi da Arezzo continua a dividere i protagonisti, ma almeno adesso i sopravvissuti (pochi ormai) con i loro eredi e i partigiani di allora si parlano, anzi si stringono la mano. E’ successo all’ultimo anniversario del massacro (206 vittime), cui ha partecipato pure Edoardo Succhielli, 91 anni, comandante all’epoca della banda partigiana "Renzino", quella che, hanno accusato i civitellini per decenni, innescò il colpo di maglio della divisione "Hermann Goering" con l’irruzione nel dopolavoro del paese in cui furono uccisi tre soldati tedeschi. Era il 18 giugno 1944, undici giorni dopo la reazione tedesca con Civitella messa a ferro e fuoco e gli abitanti passati per le armi in casa o fucilati dietro la piazza principale. Un episodio sul quale gli storici sono ancora divisi: rappresaglia, come ipotizzano i sopravvissuti, o politica del terrore contro la popolazione civile?

 

Quel 29 giugno, la strage si sviluppò su più fronti. Non solo nel centro storico ma anche nelle frazioni di campagna. Fra le quali quella di Cornia. E lì appunto si è svolta la celebrazione cui ha partecipato Succhielli. Detto così, parrebbe quasi la normalità, specie a 66 anni di distanza. Ma Civitella è una realtà tutta sua. E lì il nome di Edoardo Succhielli è di quelli che spaccano ancora la comunità. Non solo perchè comandò di persona l’irruzione nel dopolavoro durante la quale i partigiani spararono all’impazzata. L’antico capo della banda "Renzino" fu anche il sindaco (eletto dal resto del comune, la pianura "rossa", contro il borgo antico) che nel 1951 querelò per diffamazione il quotidiano che aveva dato voce ai superstiti, soprattutto le donne, nella loro memoria anti-partigiana, come l’ha chiamato lo storico Leonardo Paggi, figlio di una delle vittime. Vinse il processo, Succhielli, ma perse il dopoguerra. Perché il muro di gelo di allora non è mai crollato. Nonostante già da una ventina d’anni Succhielli abbia ammesso che quell’irruzione fu uno sbaglio: "Noi abbiamo purtroppo portato la rovina in paese, involontariamente, per fare del bene ma quella fu un’azione sbagliata".

 

Da tempo il vecchio partigiano aveva fatto sapere che gli avrebbe fatto piacere partecipare alle celebrazioni, ma si era sempre rimandato per il vespaio di reazioni. Stavolta le anime di buona volontà si si sono mosse con assoluta discrezione, tanto che dell’incontro si è saputo solo alcuni giorni dopo. Non è stata una presenza ufficiale, tanto che Succhielli è arrivato insieme a un vicino. Prima la cerimonia nel piccolo cimitero di Cornia e lì c’è stata la prima stretta di mano con alcuni dei sopravvissuti o dei loro eredi, poi la messa nella chiesina, celebrata dal parroco di Civitella. Al momento del segno di pace Don Tommaso Tonioni ha ricordato la presenza dell’ex capo partigiano e poi è sceso dall’altare per dargli la mano, come prescrive la liturgia. Sulla sua scia il sindaco Massimiliano Dindalini, uno che si è speso molto per la fine della memoria divisa, e il presidente del comitato "Civitella ricorda", Ida Balò, altro personaggio chiave nella stagione del disgelo.

 

"La sua - dice adesso la signora Balò, che nella strage ha perso il padre - era una presenza informale, a titolo personale dico che non vedo perchè non si debba dare la mano a Succhielli dopo che ci siamo riconciliati anche con i tedeschi eredi dei carnefici". Un anno fa, infatti, venne pellegrino a Civitella l’ambasciatore tedesco Michael Steiner, che trovò parole umanissime per chiedere scusa, tanto da strappare l’applauso. Succhielli, ora in vacanza, fa sapere di avere molto gradito, di essersi tolto un peso dal cuore. "Ho pianto, sono vecchio e non ce la faccio più a resistere. Quell’irruzione fu uno sbaglio, ma avevamo vent’anni, eravamo sbandati, partigiani con poca esperienza". La memoria divisa resta, ma chissà: almeno i rapporti umani non sono più un fiume di ghiaccio.