Arezzo, 23 aprile 2010 - I carabinieri l’hanno aspettato sotto casa, a Castelfocognano, fin quasi a mezzanotte. Avevano in mano un ordine di custodia cautelare della procura di Pescara. Corruzione l’accusa, ben noto il personaggio che non è finito in manette ma che da ieri notte non può più uscire di casa senza essere accusato di evasione. Solo qualche telefonata per avvertice i suoi avvocati. Lui è Daniele Mazzetti, cinquantenne, direttore e deus ex machina della cooperativa sociale "Agorà", una delle più importanti dell’Italia centrale. E’ accusato di aver avuto le mani in pasta su appalti per oltre un milione di euro, in combutta con uno spregiudicato gruppo di politici pescaresi. Per Mazzetti l’esperienza nuova è il carcere, non l’accusa di aver truccato gare d’asta e nemmeno i processi per corruzione.

 

E’ già stato condannato a quattro anni e quattro mesi in primo grado e in appello per la madre di tutte le tangenti, come fu definita allora, 500 mila euro pagati dal gruppo di imprenditori che si erano aggiudicati la gara pilotata per il riscaldamento della Usl, nel 2002. A difenderlo, ora come allora, il sindaco-avvocato, Giuseppe Fanfani, con il figlio Luca. Ma è stato un altro il sindaco che è costato la libertà a Mazzetti, ossia Antonio Di Vico, primo cittadino del paesino di Farindola, nel pescarese, ex Pd adesso trasmigrato nell’Udc, di cui fino a ieri, prima di finire in manette, era il coordinatore provinciale. A Farindola e nell’area vetina, zona di cui è capoluogo Penne, nell’entroterra abruzzese, Mazzetti era, almeno secondo le accuse, una specie di boss, che finanziava politici e squadre di calcio, oltre ad assumere nella sua cooperativa gli amici degli amici che gli venivano indicati. Una piccola Variantopoli-Tangentopoli, insomma. Piccola non per le dimensioni del malaffare (presunto fino a prova contraria) ma perchè si tratta di piccoli comuni.

 

Negli ultimi anni, Agorà, la cui sede aretina di via Luigi Sturzo, alla Maestà di Giannino è stata perquisita dai carabinieri assieme all’abitazione del direttore a Castelfocognano, era penetrata capillarmente nel pescarese. A Penne, Farindola e altri centri della zona, la coop gestiva trasporto scolastico e servizi sociali. Con criteri non proprio esemplari, almeno secondo gli inquirenti, ossia il capitano Massimiliano Di Pietro e i suoi uomini della compagnia dell’Arma di Penne. Per fare un esempio della spregiudicatezza, chi indaga racconta la storia della ristrutturazione di un edificio dismesso della Usl che avrebbe dovuto essere trasformato in residenza per anziani. Nonostante l’appalto non fosse stato ancora indetto, Mazzetti aveva già intessuto rapporti con tecnici e progettisti. Come se avesse la certezza che alla fine il vincitore sarebbe stato lui. In più il casentinese in trasferta metteva soldi nel Penne Calcio, formazione di eccellenza, nella squadra di basket del paese e in mille altre iniziative. Secondo la procura, il rapporto di corruzione con i politici si sostanziava nel fatto che Mazzetti riceveva appalti agevolati e in cambio prendeva a lavorare nella sua azienda i personaggi che sindaci e amministratori gli indicavano.

 

Il classico esempio di "altre utilità" previste dal codice per la corruzione. Ovviamente, del gioco, secondo i carabinieri, facevano parte anche i contributi alle campagne elettorali dei politici amici. Per lo spregiudicato dirigente di Agorà è il secondo incidente di percorso di una lunga carriera da imprenditore del sociale. Il primo era arrivato appunto nel caso delle mazzette sugli appalti Usl. Allora Mazzetti era stato accusato (e poi condannato) per essere stato una sorta di mediatore tra l’associazione temporanea di imprese interessata alla gara e il funzionario Usl, Brunetto Scarafia, pronto a pilolare l’asta in cambio di denaro. Nonostante la duplice condanna in tribunale e in appello, non c’è ancora una sentenza definitiva di Cassazione, che dovrebbe arrivare nel giro di un anno. Sarà la prima sanzione sul discusso curriculum di Agorà.