Arezzo, 25 febbraio 2010 - Il tempo delle mele di trent’anni fa era un’altra cosa. C’è poco in comune fra Vic-Sophie Marceau e l’acerba lolita di paese che si è spogliata davanti alla telecamera di un telefonino. Giusto i turbamenti di quell’età del malessere che si chiama adolescenza. Per il resto modelli diversi (le canzoni mielose alla «Reality» di Vic contro le veline-letterine-meteorine e quant’altro della ragazzina del cortonese) e valori diversi. Valori che possono indurre una studentessa dell’ultimo anno della scuola media a improvvisare uno strip-tease ingenuo e un po’ maldestro per una sfida fra amiche che giocano a fare le starlette. Altro che le bambole di un tempo nemmeno tanto lontano ma infinitamente distante nel costume.

Ecco, l’esperienza di nudo di una ragazzetta che le cronache di paese descrivono già come carina ma che certo non ha il fascino ammaliante e perverso della Lolita di Nabokov comincia proprio così, con quella che non è neppure una scommessa fra coetanee, compagne del cuore, in uno dei tanti pomeriggio vuoti dell’adolescenza, ai primi di gennaio: «Se sei mia amica - è l’invito un po’ provocatorio - devi farmi uno spogliarello davanti». La protagonista accetta e il resto è fin troppo facile da intuire. Siamo di fronte a una generazione che ormai senza il cellulare non va neppure a letto. Figuriamoci se la telecamera del telefonino non diventa l’involontaria complice di questo gioco adolescenziale. Di lì, il passo è breve, il filmino, più o meno un minuto ed è facile immaginare quale tensione erotica ci sia in uno strip-tease che dura quanto Rita Hayworth-Gilda impiegava a sfilarsi un guanto nella scena più conturbante del suo film simbolo, finisce sul cellulare dell’amica.

 

Potrebbe anche terminare tutto lì, con una semplice complicità fra coetanee. Ma il caso vuole che si ci metta di mezzo uno screzio, come ce ne sono di continuo fra adolescenti. E la ripicca è la scena dello spogliarello che viene inviata per Mms ad altri coetanei, come un dispettuccio fra proustiane fanciulle in fiore. Dì è una catena di Sant’Antonio, con il messaggio telefonico, fornito di allegato del filmino, che passa di cellulare in cellulare, in una cerchia di amici e compagni di classe che via via si allarga. Ha ragione la preside Carla Bernardini a dire che la scuola non c’entra. Se non indirettamente, come il luogo attorno al quale gravitano i protagonisti. Il filmino, per quello che si riesce a intuire dalle immagini, viene girato in casa, in classe, nelle varie sedi distaccate della scuola media di Cortona il cellulare è proibito dal regolamento. Eppure quelli che si scambiano il filmato, che si messaggiano, che ammiccano dinanzi ai passaggi più audaci sono tutti studenti.

Ormai nella popolosa frazione del comune di Cortona di cui «La Nazione» continua a tacere il nome per garantire un minimo di privacy, o quel che ne resta, ai personaggi di questa storia di provincia, la voce gira di bocca in bocca. Qualcuno, forse un genitori allarmato, la porta fino ai carabinieri, che sono burberi per definizione ma sanno con che tatto bisogna muoversi in una situazione del genere. Ecco allora che la tredicenne viene discretamente invitata in caserma assieme alla madre. Una famiglia normale, quella della ragazzina, con genitori esperti, che hanno già un altro figlio più grande e un’età che non è proprio quella di chi deve trattare con le bizze di un primogenito. Diciamo sulla cinquantina.

 

La Lolita in erba crolla in un secondo e racconta tutto: per lei era solo un gioco, una sfida fra teen-ager che le è sfuggita di mano. Magari non ci vede neppure niente di male: che cosa di diverso propongono i modelli cui si ispira ogni giorno in Tv? Non ci sono scappellotti, non ci sono ramanzine memorabili, la mamma ha l’esperienza giusta per etichettare il tutto come una bravata.
Quanto ai carabinieri, pronti a smentire che il filmino sia finito sul web e tantomeno su You Tube, il loro lavoro finisce qui. Il racconto della ragazzina fuga il dubbio che dietro ci sia un ricatto, un estorsione, o una storia di spogliarello a pagamento. Non ci sono reati da perseguire, neppure al tribunale dei minori, solo una ragazzina cui far capire che ha sbagliato. Ma questo spetta alla famiglia, spetta alla scuola. Ci vorrà tempo ma il tempo, per fortuna, è l’unica cosa che non manca a una teen-ager. Davanti a se ha tutta una vita.