Arezzo, 20 novembre 2009 - Vuole darci lezioni di antifascismo, ma non conosce neppure le regole elementari della democrazia, cioè che le sentenze non solo si rispettano ma si scontano. E quando manca il coraggio per scontarle, occorre almeno quello del silenzio.

 

E’ un caso incredibile quello di Felice (o Rolando) D’Alessandro, l’uomo che visse tre volte: prima da ragazzo impegnato in politica coinvolto in un clamoroso caso di omicidio (comune) che gli costò una condanna a 14 anni, poi da evaso, per 31 anni, con un altro nome e in un altro paese. Infine da vindice (non richiesto) dell’antifascismo. Come è incredibile la protervia di chi lo ha presentato come una sorta di Robin Hood, di eroe hollywoodiano, in stile "Il Fuggitivo", protagonista di un’esistenza da film, scordandosi però un particolare piccolo piccolo. Che cioè Rolando (Felice) D’Alessandro, l’evaso poi tornato libero, e il grande patrocinatore della raccolta di firme contro la targa Ceccherelli sono la stessa persona.

 

Una "dimenticanza" che si è trasformata in un gigantesco trappolone per il povero presidente del consiglio comunale Giuseppe Caroti e per due consiglieri comunali che avevano accolto in pompa magna l’evaso- vendicatore dell’antifascismo tradito. Complici involontari di una colossale mistificazione e di un’altrettanto gigantesca figuraccia. Non sapevano, è vero, ma è una scusa che vale fino a un certo punto per un uomo pubblico, nei cui compiti dovrebbe rientrare anche di accertarsi con chi parla.

 

Riassumiamo le tappe di una vicenda pochade. E’ dalla fine dell’estate che comincia il caso della targa Ceccherelli, quella che commemora nell’atrio del liceo la morte durante la guerra civile spagnola dell’aviatore fascista Vittorino Ceccherelli, "martire" della religione politica del Regime. Si annunciano raccolte di firme in Catalogna, si chiede la rimozione della targa, simbolo fascista (è vero, in effetti, che qualche anno fa alcuni nostalgici franchisti si fecero fotografare lì davanti col braccio teso nel saluto caro al Duce e a Franco).

 

Finalmente, lunedì’ scorso la famosa petizione viene presentata, auspici Caroti e due colleghi, Marco Tulli e Marco Paolucci. Gran cerimoniere è un signore che si presenta come Rolando D’Alessandro. Il giorno dopo viene annunciato la ricomparsa di Felice D’Alessandro, protagonista del delitto Gorgai del 1974. Apparentemente rintracciato in Spagna (in realtà era a Palazzo Cavallo) dove è finalmente libero dopo che la condanna a 14 anni si è estinta nel 2006, nonostante i 31 anni di latitanza seguiti alla fuga dal carcere di San Benedetto del 15 dicembre 1975, appena tre giorni dopo la sentenza. Ci vuole qualche ora per capire che Rolando e Felice sono la stessa persona e che chi non ha collegato i due eventi ha almeno peccato di omissione, inducendo in inganno i politici.

 

Bene, è accettabile che un evaso (per quanto ormai "legalizzato") per un reato comune si permetta di dare lezioni di etica, politica, democrazia e persino antifascismo? Noi qualche dubbio lo abbiamo. Non vogliamo entrare nelle scelte personali di D’Alessandro: il coraggio di scontare la pena chi non lo ha non se lo può dare e può anche scegliere di scappare, di fare una vita da latitante. Ma a quel punto decenza imporrebbe di tacere.
Invece, l’ex evaso non solo non tace sulla targa Ceccherelli (sulla quale bisognerebbe almeno vigilare per evitare rigurgiti nostalgici) ma non tace neppure sulla sua vicenda personale, rinnovando dopo trent’anni il dolore della famiglia Gorgai: "Sono vittima di un processo farsa".

 

Ora, fino a prova contraria, quello di D’Alessandro è stato un processo regolare, in primo grado e in appello. L’allora giovane studente è stato giudicato da una corte di suoi pari (un’assise) che ha ritenuto ci fossero le prove per condannarlo. Può avere sbagliato (l’errore è insito nelle cose umane) ma non è stata protagonista di una farsa. Non è lecito offendere la giustizia. Tantomeno a uno che non ha accettato di sottostarvi. Rolando-Felice si dice innocente? Chieda la revisione del processo. Altrimenti è meglio che cali un pietoso silenzio su questa che, al contrario dell’assise di allora, è davvero una farsa.