Chi ha affondato Banca Etruria? L'eredità Faralli, le colpe dei successori

Ancora anticipazioni dalla relazione del liquidatore Santoni per la procura. Le responsabilità delle varie gestioni e il debito mai ripianato dell'ex consigliere Rigotti (14 milioni di perdite), l'uomo che decise la cacciata del presidentissimo

Elio Faralli

Elio Faralli

Arezzo, 22 maggio 2016 - CHI HA affondato la vecchia Banca Etruria? La situazione è precipitata negli ultimio anni o le radici del dissesto sono più lontane del tempo? Non è accademia, perchè sul tema nei mesi più recenti si sono susseguiti gli affondi e le polemiche, con qualche ex amministratore di vaglia (vedi alla voce Valentino Mercato, patron di Aboca, già nel Cda) che se la prendeva apertamente col vecchio padre padrone Elio Faralli e il figlio di quest’ultimo Riccardo che ne difendeva la memoria: i guai sono cominciati quando lo hanno cacciato, nel 2009.

Bene, ora nella relazione alla procura sullo stato di insolvenza, quella sulla quale il pool dei Pm dovrà fondare la sua indagine per bancarotta, anche il commissario liquidatore Giuseppe Santoni dice la sua, senza risparmiare nè la vecchia gestione nè quella più recente. I quasi trent’anni (1982-2009) di Faralli, riconosce, hanno portato «un’espansione dimensionale della banca che è da ritenere sicuramente come notevole».

Ma, affonda subito la lama, «i risultati economici ottenuti non possono essere considerati ragguardevoli, perchè i vari esercizi sociali si chiudono nel tempo sostanzialmente in pareggio». Insomma, secondo il liquidatore, Bpel non riesce a produrre i profitti che sarebbero stati necessari. Non solo: il modello della banca capofila (Etruria) che eroga servizi anche alle consociate tramite società assicurative (Bap), orafe (Oro Italia Trading) e di credito al consumo si traduce in un appesantimento dei conti a carico della capogruppo. Una situazione alla quale si tenta di rimediare, ma senza troppi risultati, con le ultime acquisizioni: Banca Del Vecchio nel 2007, la Lecchese nel 2008 e l’acquisto di 13 filiali Unicredit, progetto Matilda, sempre del 2008.

A QUESTO punto urge cambiare strada e, ricostruisce Santoni, la politica espansiva cessa (le trattative per l’ingresso in Popolare Molisana e Cassa di Risparmio vengono accantonate, con il nuovo direttore generale Luca Bronchi che succede ad Alfredo Berni) proprio mentre si porta in fondo una contestatissima alternanza al vertice: via Faralli, presidenza a Giuseppe Fornasari.

Ma, scrive il liquidatore, «i tentativi di riorganizzazione produssero esiti molto modesti: la rete delle filiali rimase poco produttiva, i costi di produzione molto elevati». Tutto ciò mentre «si confermavano elementi di anomalia dei profili tecnici sempre più preoccupanti». Così, «nonostante le pressanti indicazioni delle autorità di vigilanza, i vertici della banca restarono singolarmente inerti». Il resto è noto, a cominciare da quello che il liquidatore definisce «il sostanziale fallimento del piano industriale 2009-2011», il precipitare dei conti, il iktat di Banca Italia per l’aggregazione con un partner di elevato standing, il naufragio dell’improbabile matrimonio con Vicenza e il commissariamento.

UN PASSO indietro semmai. Perchè a decidere la cacciata di Faralli (8 a 7 in Cda) è il voto di Alberto Rigotti che Santoni segnala nella sua relazione. Lo stesso Rigotti, infatti, con la sua Abm, è esposto con Etruria per 16 milioni di sofferenze, di cui 14 già accantonati a perdita. Si parte con 5 milioni nel 2006 che salgono a 12,5 nel 2007 e a 19 nel 2008. Indovinate quanto ci vuole per deliberare la pratica del 2007? La bellezza di due giorni.

Salvatore Mannino