Arezzo, 2 agosto 2011 - Che dire di uno stato che a ottobre mette sul piatto (a parole) due miliardi da inserire in un collegato alla Finanziaria e dieci mesi dopo li trasforma in una cambiale a termine, ridotta della metà, onorabile da qui a sette anni? Un “Pagherò”, per giunta, rateizzato in 45 (dicasi 45) anni? Eppure, per la Due Mari questo è lo stato dell’arte e da qui bisogna ripartire, cercando di vedere il poco (molto poco) di positivo che c’è nell’esito del tavolo tecnico riunitosi giovedì al ministero delle Infrastrutture.

A prima vista è stato un vertice devastante per il futuro dell’Eterna Incompiuta e hanno ragione a lagnarsi sia il presidente della Provincia Vasai che il sindaco Fanfani. Il primo vede definitivamente svanire (ma già si sapeva) le promesse fatte dopo la prima protesta della Guinza dal ministro Matteoli, il secondo, insieme ai colleghi dei comuni destinati ad essere attraversati dalla Grosseto-Fano, si ritrova addirittura espropriato dell’Ici in una parte del suo territorio, il corridoio di rispetto della grande arteria.

Lo stato sostanzialmente fa a tutti una proposta indecente: se volete che l’opera sia completata, lasciate il gettito di un’imposta che è comunale per definizione a quello che sarà il concessionario COME DIRE che cede ad altri un diritto non suo, in ossequio al principio che l’onere dei costi si sposta dal governo centrale ai singoli territorio interessati, come ben notano sia Vasai che Fanfani.

Poi subentra il realismo e ci si domanda se, al di là delle inevitabili (giuste) proteste e recriminazioni, non sia alla fin fine la soluzione meno peggio fra tutte quelle in questo momento ipotizzabili. Perché, a voler guardare in faccia la realtà, l’alternativa non è un diverso modo di finanziare la Due Mari ma la rinuncia definitiva, o quantomeno per tempi imprevedibili, alla sua realizzazione. Incapace com’è di tagliare la spesa, soprattutto la spesa improduttiva, lo stato ha da tempo mollato sui grandi investimenti. Rinunciare a tutto il rinunciabile, cioè a tutto quello che non sia spesa corrente, è la parola d’ordine con cui Tremonti sta fronteggiando la tempesta sui mercati finanziari.

E’ sicuramente iniquo che a pagare il conto sia, fra le altre grandi opere, anche la Due Mari, ma così è. Ecco allora, in uno slancio di finanza creativa, l’idea, mutuata dalla Gran Bretagna, di pagare quanto manca della Grosseto-Fano non solo con il pedaggio, non solo con le quote a carico delle camere di commercio e delle fondazioni bancarie, non solo col trenta per cento che dovrebbe metterci lo stato a babbo morto (cioè dal 2018 in avanti), ma anche col gettito dell’Ici sui grandi insediamenti che si spera saranno attirati dall’opera: outlet, autogrill e via dicendo. Tanto, è il ragionamento, se non si facesse la Due Mari, gli insediamenti non ci sarebbero e i Comuni resterebbero lo stesso a bocca asciutta.

E’ un calcolo cinico, ma a questo punto tanto vale andare a vedere il gioco. Sembra anche il risultato del vertice di ieri, assai prudente, quasi interlocutorio. Dicono i tecnici che su questo tipo di operazione ci sono dei concessionari potenzialmente interessati, a cominciare dalla Società Autostrade. Bene, la mano è sul tavolo: si può lasciarla lì e andarsene (sarebbe più che comprensibile) oppure si può scoprire le carte, per capire se è un bluff. Forse, dopo tanto patire, dopo aver rinunciato al nodo di Olmo (ed era opportuno farlo, se serviva a far ripartire i cantieri), dopo aver perso per strada persino la galleria di Citerna (l’ultimo sacrificio, consumato giovedì) è il caso di guardarle le carte, anche se la tentazione è di mandare tutti al diavolo. Basta ricordare un calcolo della Camera di Commercio: le grandi opere da sole (e a noi della Due Mari interessa soprattutto il collegamento Autosole-E45, la futura Orte-Venezia, davvero un tratto strategico) valgono un trenta per cento di Pil.