{{IMG_SX}}Arezzo, 7 agosto 2008 - Condanna doveva essere e condanna è stata. Nessuno nell’entourage di Paolo Bertini, l’ex arbitro internazionale ormai da un paio d’anni nella bufera, si era fatto troppe illusioni sulla possibilità di uscire indenni dalla tempesta delle schede svizzere di Moggi, anche se il fischietto quarantatreenne continua a negare di avere mai avuto una sim straniera, tantomeno fornita dall’ex uomo forte della Juve. E infatti, sia pure con molto ritardo rispetto alle attese, la sentenza che squalifica Bertini per un anno e mezzo (violazione delle regole di lealtà sportiva) è giunta ieri pomeriggio intorno alle diciassette.

 

Sorprendente semmai nelle dimensioni. Perchè nessuno degli amici dell’arbitro, neppure il suo avvocato Mauro Messeri, avrebbe mai immaginato una riduzione così netta delle richieste del Pm calcistico Stefano Palazzi, che aveva proposto due anni in più, in totale tre e sei mesi. Un secco ridimensionamento della requisitoria d’accusa, tanto più inaspettato perchè arriva dopo un processo ad altissima tensione, nel quale le difese avevano persino abbandonato l’aula in segno di protesta.

 

Certo, la macchia resta. Perchè per i giudici della commissione disciplinare, il primo grado della giustizia sportiva, Bertini una scheda svizzera l’aveva e gliela aveva regalata proprio Moggi. Nell’ambito, scrivono nelle motivazioni della sentenza, di un progetto volto a creare un sistema di comunicazioni riservato fra alcuni fischietti e il 'sistema' di Big Luciano, parallelo rispetto a quello ufficiale che passava per le vie federali. Non per niente, sono stati condannati tutti, stavolta per la violazione dell’articolo uno e non per illecito sportivo: quattro anni, la pena più pesante, a Mariano Fabiani, all’epoca direttore generale del Messina, un anno e due mesi a 'Lucianone', un anno e sei mesi per tutti gli arbitri coinvolti, Bertini, Pieri, Ragalbuto, Cassarà, Dattilo, Gabriele e l’assistente Ambrosino. Sei mesi a De Santis.

 


E’ per questo, perchè all’onore ci tiene, che il fischietto aretino farà ricorso in appello, il testo anzi è già stato preparato ieri da Messeri: potrebbe essere depositato già domani, anche se il termine è di sette giorni. D’altronde, Bertini vuol restare nel mondo del calcio, da direttore sportivo o da referente arbitrale, e ci vuole restare pulito. La sua dunque sarà una battaglia all’ultima carta e all’ultimo grado di giudizio, senza sconti per nessuno, senza patteggiamenti, come quello col quale se l’è cavata il collega Gianluca Paparesta, il mezzo pentito dell’inchiesta, che ha concordato una pena di due mesi. Venti per il padre Romeo, che ha ammesso il possesso della Sim usata anche dal figlio.

 

L’arbitro aretino, invece, non confessa niente, nonostante le conclusioni della disciplinare. Secondo i giudici sportivi, gli indizi del fatto che anche lui avesse una Sim straniera stanno nei contatti che i carabinieri hanno individuato con la cella di ricezione di Arezzo. "Inoltre - afferma la sentenza - vi è corrispondenza tra località e orari delle chiamate e presenza del Bertini per partecipare a convegni tecnici (Coverciano e Milano) o arbitrare partite del campionato italiano".

 

L’ultimo elemento, spiegano i giudici, starebbe proprio nel racconto di Gianluca Paparesta, he nell’interrogatorio davanti ai giudici di Napoli del 10 marzo 2008 avrebbe parlato di una telefonata a Bertini tramite le schede  elvetiche. "Ma le cose non stanno così - mette le mani avanti l’avvocato Messeri - Paparesta dice che la chiamata c’è stata e che non ricorda però con quale Sim. Infatti la telefonata risulta ma sui tabulati dei telefonini ordinari dei due arbitri". Il legale ripete ancora la verità del fischietto aretino: "Non ha mai avuto schede svizzere, gli indizi sui quali è basata la sentenza sono contraddittori. Il collegio ha utilizzato solo quello che faceva comodo per pronunciare la condanna".

 

La carriera dell’arbitro Bertini finisce ufficialmente qui, anche se si era già chiusa con l’esclusione dai ranghi di giugno. Quella del dirigente Bertini dipenderà molto dall’appello. Il caso non è affatto chiuso.