Perugia, 15 aprile 2010 - E se non c’è delitto, non ci sono ‘coperture’,"non c’è il doppio cadavere". Non c’è l’associazione per delinquere che vuole i familiari di Narducci (il padre Ugo e il fratello Pierluca) organizzarsi con l’allora questore Francesco Trio, l’avvocato Alfredo Brizioli, carabinieri e vigili del fuoco. "Tutto il processo Narducci si basa su congetture che si vogliono provate da sillogismi illogici senza alcun riscontro oggettivo. Dopo dieci anni gli elementi che sono stati raccolti non arrivavano nemmeno vicino alla soglia dell’inidizio".

 

L’avvocato David Zaganelli, difensore di Trio, parla per ore davanti al giudice Paolo Micheli che deve decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal pm Giuliano Mignini per 20 (il 21esimo ha scelto il rito abbreviato). In aula è il giorno delle posizioni principali, dei membri dell’associazione per delinquere - nella ricostruzione dell’accusa - che avrebbero sostituito il corpo del medico per evitare che venissero a galla i collegamenti con l’ambiente in cui erano maturati i delitti del ‘mostro’ di Firenze.

 

"La testimonianza del pescatore è insuperabile", scandisce Zaganelli. "Abbiamo dimostrato che la tomografia è strumento di elezione per individuare le fratture e così non è stato. Quindi ciò che viene costruito intorno a questa frattura sono congetture. Eliminato l’omicidio viene meno tutto l’impianto e non c’è necessità di coprire nulla e tantomeno di organizzare la messinscena del doppio cadavere" aggiunge ancora Zaganelli.

 

Quanto al questore arrivò al molo solo il 13 e non prese mai parte alle operazioni dei giorni precedenti. Quel giorno andò ma "era un caso eclatante e c’erano problemi di ordine pubblico, come sempre avviene dietro ad una scomparsa". Ha parlato di "attacco al difensore che ha avuto il solo torto di difendere i suoi assistiti ed è finito indagato per gli stessi reati" invece l’avvocato Gianni Spina che, insieme a Luciano Ghirga, assiste l’avvocato Alfredo Brizioli, già legale della famiglia Narducci poi finito inquisito - il pm ha chiesto il rinvio a giudizio anche per lui - con l’accusa di aver fatto parte dell’associazione per delinquere che nell’ottobre del 1985 si costituì per allontanare le indagini sulla morte di Francesco Narducci, anche organizzando la messinsacena del ‘doppio cadavere’.

 

Secondo la procura, in particolare, Brizioli "nei giorni della scomparsa, sapeva che il Narducci aveva ‘buoni’ motivi per ‘scappare’, evidentemente all’estero, perché alludeva al passaporto e invitò subito i familiari e gli amici a cercare il passaporto di Francesco, perché, se non vi fosse stato, voleva dire che l’amico era fuggito. Il legale, distintosi, poi, per tutta una serie di attività criminose recenti di contrasto alle indagini, conosceva, quindi, tutta la verità sull’amico e questo lo ha spinto a farsi coinvolgere nel consorzio criminoso che, in qualche modo, doveva ‘proteggerne la memoria’".

 

Spina ha sottolineato "l’insussistenza" dei collegamenti tra la scomparsa del medico e i fattacci fiorentini del ‘mostro, dell’ipotesi omicidiaria e dello scambio di cadavere. "Se è vero, come sostiene la procura che erano tutti d’accordo che bisogno c’era di trovare un’ altro cadavere?" si è chiesto, retorico, il difensore. Il legale ha infine ribadito che al di là dell’intero impianto accusatorio Brizioli si trovava a Torino dal’8 al 13 ottobre. "E’ lì che apprese, come dice un testimone da noi sentito - ha spiegato Spina -, del ritrovamento del corpo di Narducci al lago Trasimeno".

 

Brizioli ha rinunciato alla prescrizione, il giudice Paolo Micheli quindi dovrà entrare nel merito delle contestazioni a lui mosse, sia per i fatti del 1985 (alcuni dei quali potrebbero essere dichiarati prescritti) che per episodi più recenti come le minacce alla consulente del pm o il caso-Puletti. Oggi stop dell’udienza, domani ancora in aula con gli avvocati Francesco Falcinelli e Pietro Pomanti difensori dei Narducci.